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CNDS TV–MICROFILM “La bellezza non è, che una promessa di felicità”

Il terzo Microfilm ideato da Nino Graziano Luca della serie “Compagnia Nazionale di Danza Storica, emozioni allo stato puro”, si intitola “LA BELLEZZA NON È CHE UNA PROMESSA DI FELICITÀ” ed è ispirato ad un verso dello scrittore francese MARIE-HENRI BEYLE, universalmente noto come STENDHAL.
Sua madre, Henriette Gagnon, era una donna allegra e colta - conosceva l'italiano e leggeva Dante in originale. Era l'anima della casa e fu idealizzata da Henri, che invece detestò il padre Chérubin Beyle, procuratore e poi avvocato del Parlamento di Grenoble, massone, uomo votato al guadagno e agli affari.
fu un amante dell'arte e appassionato dell'Italia, dove visse a lungo, esordì in letteratura nel 1815 con le biografie su Haydn, Mozart e Metastasio, seguite nel 1817 da una “Storia della pittura in Italia” e dal libro di ricordi e d'impressioni su Roma, Napoli, Firenze. Quest'ultimo fu firmato per la prima volta con lo pseudonimo di Stendhal, nome forse ispirato alla città tedesca di Stendal, dove nacque l'ammirato storico e critico d'arte Johann Joachim Winckelmann.
Celebrato per i romanzi “Il rosso e il nero” (1830) e “La Certosa di Parma” (1839) fu uno dei maggiori rappresentanti del romanzo francese del XIX secolo e anche uno dei primi e principali esponenti del realismo. I suoi protagonisti sono giovani romantici che aspirano alla felicità attraverso la realizzazione di sé, il desiderio della gloria e l'espansione di sentimenti d'amore appassionati.
Stendhal rese pubbliche le sue posizioni sull'estetica letteraria e musicale in alcune riviste inglesi alle quali aveva iniziato a collaborare nel 1822: sulla “Paris Monthly Review” aveva scritto in gennaio un articolo su Rossini cui seguirono l'anno dopo i due volumi di una “Vie de Rossini”, che fu recensita con interesse e polemiche dalla stampa. Era un attacco al mondo musicale francese, presentato come vecchio e accademico, e una difesa del musicista italiano che tuttavia irritò lo stesso Rossini, presentato come un bohémien, «un improvvisatore pigro, facile, che copiava sé stesso senza ritegno e senza ritegno si divertiva a comporre. Tutto il contrario di un artista, e quindi il vero artista, il vero romantico».
Essere moderni significa essere romantici, abbandonare le vecchie idee classiciste che in Francia avevano esaltato un Racine e svalutato uno Shakespeare. Questo scrisse Stendhal nel 1823 e nel 1825 sul “New Monthly Magazine”: come in pittura David aveva superato la vecchia scuola barocca dominante dai tempi di Luigi XIV, ora «siamo alla vigilia di una rivoluzione simile in poesia. Fino al giorno del successo noi, sostenitori del genere romantico, saremo sommersi d'improperi. Ma quel gran giorno alla fine arriverà, la gioventù francese si risveglierà e sarà stupefatta, questa nobile gioventù, d'aver applaudito, per tanto tempo e tanto seriamente, così grandi stupidaggini».
L'analisi delle passioni, dei comportamenti sociali, l'amore per l'arte e per la musica, nonché la ricerca epicurea del piacere, venivano espressi attraverso una scrittura personalissima, nella quale il realismo dell'osservazione oggettiva e il carattere individuale della sua espressione si fondevano in maniera armonica. Per tutti questi motivi Stendhal fu quasi ignorato dai suoi contemporanei, con l'eccezione di Honoré de Balzac, ma venne poi adorato dai posteri.
La rappresentazione dei costumi di Stendhal non è motivata da una volontà sociologica, ma per far cadere le falsità e mostrare la «verità» del suo tempo.
Foto: Giulia Mascellino al "Gran Ballo di Primavera" organizzato dalla Compagnia Nazionale di Danza Storica diretta da Nino Graziano Luca al Palazzo Rospigliosi di Roma.
Costume: "Atelier Artinà" di Monica Fiorito
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