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CNDS TV–MICROFILM "È nei margini, che si trovano le poesie"

Il quarto micro-film ideato da Nino Graziano Luca per il progetto COMPAGNIA NAZIONALE DI DANZA STORICA, EMOZIONI ALLO STATO PURO, dedicato ai 700 anni dalla scomparsa di Dante, si intitola “È NEI MARGINI CHE SI TROVANO LE POESIE” ed è ispirato al verso del poeta russo Osip Mandel’stam che aveva un’autentica venerazione per Dante e la Divina Commedia, Roma e l’Italia come ha espresso in tutta la sua vita e, nel particolare, con la sua pubblicazione intitolata “Conversazioni su Dante”, che rappresenta un vero e proprio classico della critica letteraria novecentesca.

Prosatore e saggista, esponente di spicco dell'acmeismo, è stato uno dei grandi poeti del XX secolo. Mandel'štam era nato a Varsavia -all'epoca parte dell'Impero russo- da una benestante famiglia ebraica, che poco dopo la nascita del futuro poeta si trasferì a San Pietroburgo. Il padre era mercante di pellami, la madre era pianista e insegnante di musica.

Chi ebbe modo di conoscerlo sosteneva che Mandel'štam «ardeva per Dante». La poetessa Anna Achmatova ricorda che Mandel’štam «recitava la Divina Commedia giorno e notte». Da parte sua, il giovane poeta Sergej Rudakov, mentre scambiava due chiacchiere con Mandel’štam, gli disse: «tutto ciò che attiene alla tua poesia ha girato intorno alla Conversazione su Dante, […] tutto ha guardato ad essa».

Il Dante venerato da Mandel’štam è tuttavia molto diverso da quello a cui siamo abituati. Mandel’štam dice che Dante non è stato ancora veramente compreso, e questo nonostante tutti gli studi che sono stati scritti sul sommo poeta. “Presi dalla terminologia teologica, dalla grammatica scolastica e dall’ignoranza allegorica, abbiamo perso di vista le danze sperimentali della Commedia dantesca, e abbiamo conferito a Dante una dignità conforme al modello di una scienza defunta, mentre la sua teologia era un vaso di dinamica […] Dante guarda sì alla cultura del passato, ma non certo per riproporla pedissequamente e quindi in modo sterile; piuttosto, egli se ne appropria per poi rielaborarla, reinterpretarla, rinnovarla […] Dante vede «nella tradizione […] non tanto il suo lato sacro, accecante, quanto un oggetto da valorizzare per mezzo di un ardente reportage e di una sperimentazione appassionata”.

L’impressione che si ricava dalla lettura delle Conversazioni è che Mandel’štam voglia fare di Dante non tanto (o non più) un rappresentante della tradizione filosofico-teologica occidentale, ma un anticipatore della temperie culturale contemporanea. Il Dante descritto da Mandel’štam, più che essere vicino a Platone, ad Aristotele, a Tommaso d’Aquino e ai filosofi arabi, sembra infatti prendere posto tra Eraclito e Nietzsche.

Per capire perché Mandel’štam faccia di Dante un poeta “contemporaneo” ed “eracliteo”, bisogna comprendere che cosa significhi per lui “poesia”.
PER MANDEL’ŠTAM, LA POESIA È SOPRATTUTTO CREAZIONE, «CAMBIAMENTO», «GIOIA DEL DIVENIRE» (non dimentichiamoci che “poesia” in greco antico si dice poiesis, termine che significa anche “creazione”, “produzione”). Mandel’štam scrive che la poesia è un «flusso d’energia», un «campo d’azione» composto di «onde semantiche», «onde-segnali», che «svaniscono, una volta eseguita la loro funzione: quanto più sono intense, tanto più sono arrendevoli e tanto meno sono inclini a trattenersi».
Ebbene, Mandel’štam ritrova in Dante tutti i caratteri tipici della propria concezione della poesia: secondo il poeta russo, Dante è infatti “il più grande e indiscusso signore della materia poetica convertibile e in via di conversione, il più antico e al tempo stesso il più vigoroso direttore d’orchestra […] d’una composizione poetica che esiste unicamente sotto forma di flussi di onde, sotto forma di impennate e bordeggi”.

Mandel’štam ritiene che una delle caratteristiche di Dante sia proprio la «metafora eraclitea», ovverosia una figura retorica “impegnata a sottolineare con tale forza la transitorietà di un fenomeno e a cancellarlo con tali svolazzi, che alla pura contemplazione, dopo che la metafora ha fatto la sua parte, non resta in sostanza di che alimentarsi”. È PROPRIO QUESTA CAPACITÀ DI RITRARRE ED ESALTARE CIÒ CHE È CADUCO, EFFIMERO E TRANSEUNTE CHE FA SÌ, PER MANDEL’ŠTAM, CHE LA «CONTEMPORANEITÀ» DI DANTE SIA «INESAURIBILE, INCALCOLABILE E INESTINGUIBILE.

MA COSA RAPPRESENTANO DANTE E L’ITALIA PER IL POETA EBREO RUSSO? Mandel’stam in una poesia scrive: «E una serena nostalgia non mi permette di lasciare / le ancor giovani colline di Voronez/ per quelle toscane, terse, universali». La terra toscana è definita universale. Mandel’stam è convinto che la cultura si eredita, come i patrimoni e che senza di essa non può esservi storia e dunque ciò lo indusse a crearsi una sua “terra santa”: il Mediterraneo.
Egli torna continuamente nei suoi versi a Roma e all’Italia, poiché considera Roma il vero posto dell’uomo nell’universo, il luogo in cui i passi dell’uomo risuonano come altrettante azioni.